Spazio collettivo
Materiali per una rivoluzione culturale
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Il monumento agli alpini di Bruneck-Brunico, oggetto di deturpazioni e proteste da parte degli Schützen e dei partiti nazionalisti sudtirolesi.
Foto di Leandro Casini.
Dossier Alto Adige-Südtirol / 1
🔴 di Leandro Casini 🔴
Qualche settimana fa sono stato in vacanza in Alto Adige… in Südtirol… Mah. Proprio su questo vorrei scrivere. Perché ho avuto l’impressione di essere capitato lì, più precisamente a Bruneck-Brunico, in un momento importante per la storia di quelle terre.
Dossier Alto Adige-Südtirol / 2
🔴 di Leandro Casini 🔴
Gaetano Salvemini, nel suo Mussolini diplomatico, scritto nel 1932 dall’esilio in Francia, definì Ettore Tolomei «il boia del Tirolo […] l’uomo che escogitò gli strumenti più raffinati per tormentare le minoranze nazionali in Italia. I suoi ammiratori gli attribuiscono il merito di aver “creato” l’Alto Adige e lui accetta senza riserve quella gloria».
Ettore Tolomei (1865-1952).
Fonte della foto: https://www.cultura.trentino.it/var/001/storage/images/media/images/ettore-tolomei/22303622-1-ita-IT/Ettore-Tolomei_imagefullwide.jpg
Il professor Herbert Marcuse con una sua famosa allieva, l'attivista per i diritti degli afroamericani e militante del Partito Comunista degli USA Angela Davis.
Estetica
di Davide Cherubini
Friburgo, 1922. Un ventiquattrenne Marcuse si diploma all’università con una dissertazione sul “romanzo dell’artista” nella letteratura tedesca. Tesi dall’argomento apparentemente inaspettato per un pensatore il cui pensiero e la cui personalità politico-intellettuale saranno tra i maggiormente intrecciati alle traversie dei vari movimenti antisistemici degli anni Sessanta e Settanta del XX secolo. Appunto: apparentemente. Il perché lo si capisce da subito guardando agli studi che lo stesso Marcuse aveva portato avanti in quegli anni universitari: come materie principali filologia germanistica e storia della letteratura tedesca, affiancate però da filosofia ed economia politica, queste ultime le discipline che più delle prime marcheranno in maniera significativa il suo percorso intellettuale ed umano rendendolo, nel bene e nel male, il pensatore che tuttora conosciamo. Proprio su questo intreccio, e particolarmente su questa componente “estetica”, si incentra il discorso dello studioso Davide Cherubini; non è un caso, difatti, se la parabola del pensiero marcusiano trova origine e conclusione proprio nell’estetica.
URSS 1979
di Aleksandr Dobrovol’skij
Fin dall’inizio l’avventura militare afghana dell’URSS sembrò un paradosso. Ma questo evento della storia recente appare ancor più contraddittorio se si guardano i verbali e i documenti delle riunioni al vertice del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Si scopre che solo sei mesi prima che l’URSS fosse coinvolta nell’invasione del suo vicino meridionale, i capi del partito, L.I. Brežnev in testa, erano categoricamente contrari a tale azzardo. Ma poi, come per magia, ci fu una svolta di 180 gradi.
Una così strana metamorfosi viene tracciata attraverso i documenti e i verbali delle riunioni del Politbjuro del Comitato Centrale del PCUS che sono ora di pubblico dominio.
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* * * * *
Da «La Città futura»
di Antonio Gramsci
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che «vivere vuol dire essere partigiani». Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti…
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Evgenij Evtušenko (1932-2017).
Autore della foto: Savostyanov, Mastyukov/TASS
Fonte della foto: https://it.rbth.com/cultura/85684-evtushenko-e-i-poeti-del-disgelo
Evgenij Evtušenko
«Le mie poesie nascono se amo molto qualcuno o qualcosa oppure quando mi vergogno di qualcosa. Amo moltissimo la Russia e non riesco a immaginare la vita senza il mio paese, ma a volte me ne vergogno. Così ho scritto Babij Jar. Quando arrivai a Kiev sapevo che migliaia di ebrei erano sepolti lì, alla periferia della città, ma non avevo idea di quanti fossero. Andai in quel triste luogo e vidi i camion che vi si fermavano: riversavano mucchi di immondizia nei fossi in cui erano state scaricate migliaia di persone denudate, vecchi e giovani e bambini. Il luogo in cui i nazisti avevano ucciso almeno 70.000 persone era stato trasformato in una discarica.
Provai una tale vergogna che appena entrato nella mia stanza d’albergo scrissi la poesia Babij Jar. È vero che poi è cominciata tutta una saga per la la sua pubblicazione, ma quando è stata stampata ho ricevuto circa 10.000 lettere. Non dimenticherò mai il momento in cui mi chiamò Šostakovič, che ha poi creato un’incredibile 13ª sinfonia basata sui miei versi».
(Tratto da: Elena Danilevič, Evgenij Evtušenko: «Stichi roždajut ljubov’ i styd» [Evgenij Evtušenko: «L’amore e la vergogna fanno nascere i versi»], in «Argumenty i fakty», 23/12/2015; https://spb.aif.ru/society/people/evgeniy_evtushenko_stihi_rozhdayut_lyubov_i_styd).
Leandro Casini Babij Jar: breve storia letteraria di un burrone 🔴 Vai all’articolo
Sfoglia il giornale alla sezione Pantera 90.
Pantera 90 – Dal periodico «SNU-INFORMA», n. 5/90
Documento della Segreteria SNU-CGIL Firenze
Il n. 5/90 del periodico del Sindacato Nazionale Università della CGIL uscì con un importante documento della Segreteria fiorentina in appoggio alle rivendicazioni degli studenti palermitani contro la “riforma” governativa del sistema universitario che dava ai privati libero accesso nella gestione delle attività di ricerca e di orientamento didattico degli Atenei.
Il valore del documento non è soltanto politico, ma esso rappresenta anche una fotografia statistica efficace sulla situazione di allora dell’Ateneo fiorentino, una fotografia che fissava in modo inequivocabile i tagli che da anni venivano operati sul diritto allo studio e le ridotte possibilità di accesso degli studenti provenienti dalle classi medio-basse alla formazione universitaria.
Il documento è firmato «Segreteria SNU-CGIL Firenze»: esso fu il frutto di un lavoro collettivo a cui parteciparono i compagni Montagni (segretario), Gallelli e Cimbalo. Leggendolo si noterà la lungimiranza delle posizioni espresse allora dal sindacato di classe e l’attualità anche per l’oggi delle istanze in esso contenute.
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Franco Fortini (1917-1994).
Fonte della foto: https://laletteraturaenoi.it/wp-content/themes/yootheme/cache/83/fortini-dattilo-945x997-83f6454e.webp
Dossier Il Politecnico
di Franco Fortini
A chiusura del nostro "Dossier «Il Politecnico»" presentiamo la ricostruzione che nel 1953 Franco Fortini fece della storia della rivista fondata e diretta da Elio Vittorini, di cui il poeta, traduttore e critico letterario era un giovane redattore di punta. Una ricostruzione puntuale e onesta, che mette in rilievo sia i pregi di una rivista unica nel suo genere nel panorama culturale e letterario di allora, sia i difetti, i dissapori, i contrasti con il PCI che di quella iniziativa editoriale fu inizialmente promotore e ispiratore e alla fine affossatore. E Fortini non tace nemmeno certe debolezze teoriche e pratiche dello stesso Vittorini:
«Sarebbe stato necessario ottenere dai collaboratori della rivista una disciplina, un lavoro di comune ricerca, un coordinamento degli sforzi; sarebbe stato necessario costituirsi in gruppo, bruciare rapidamente le incertezze pratiche, pianificare la rivista, farne uno strumento di lotta teorica a lunga scadenza. Né è detto che la forma della rivista sarebbe stata la più adatta, quel lavoro si sarebbe forse espresso meglio in libri comuni. Si sarebbe avuto comunque un evento, per il nostro paese, straordinario: la costituzione di un gruppo di intellettuali che si scambiano i resultati delle loro ricerche e procedono insieme. Volle invece ognuno aver ragione per proprio conto, finendo, qual più qual meno, con aver torto di fronte alla propria responsabilità sociale. Può esser facile risposta quella che vede in tutto ciò i limiti della personalità del direttore del “Politecnico”. Portato (e questa è responsabilità dei dirigenti del Pci) dall’onda di marea della Resistenza ad un compito che, per esser menato a buon fine, voleva una pazienza ed una preparazione grandi, egli non ebbe né l’una né l’altra, né seppe rinunciare ad esser sempre il primo, la vedetta…».
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Appello ai giornalisti italiani
«Rompiamo il silenzio sull’Africa»
di padre Alex Zanotelli*
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Appello di padre Alex Zanotelli* ai giornalisti italiani
Rompiamo il silenzio sull’Africa.
Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo
Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto.
Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale.
So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa.
Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa.
È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga.
È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.
È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.
È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.
È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.
È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.
È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.
È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.
È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU.
È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.
È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!).
Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi.
Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.
Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact, contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti.
Ma i disperati della storia nessuno li fermerà.
Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica.
E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).
Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti?
Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.
Alex Zanotelli
*Alex Zanotelli è missionario italiano della comunità dei Comboniani, profondo conoscitore dell’Africa e direttore della rivista «Mosaico di Pace».
Inserito il 30/07/2023.
Padre Alex Zanotelli.
Bertolt Brecht e Giorgio Strehler al Piccolo di Milano (1956).
Fonte della foto: http://i2.res.24o.it/images2010/Editrice/ILSOLE24ORE/DOMENICA/2016/05/29/Domenica/Immagini/Trattate/Bertolt%20Brecht%20e%20Giorgio%20Strehler-k4zE--835x437@IlSole24Ore-Web.jpg
di Massimo Bucciantini
Tutto ha inizio da un biglietto. Da due righe scritte a mano da Bertolt Brecht e indirizzate a Giorgio Strehler: «Caro Strehler, mi piacerebbe poterle affidare per l’Europa tutte le mie opere, una dopo l’altra. Grazie. Milano 10.2.56»…
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di Eros Francescangeli
L’incontro fruttuoso tra movimento operaio e movimento studentesco negli anni Sessanta e Settanta dette vita a una stagione in cui la rivoluzione in Italia pareva a portata di mano. In questo articolo lo studioso Eros Francescangeli ripercorre le fasi della nascita delle due principali organizzazioni operaiste, sorte, manco a dirlo, da una spaccatura del movimento.
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Elsa Triolet e Louis Aragon.
Fonte della foto: https://www.lefigaro.fr/livres/louis-aragon-et-elsa-triolet-un-amour-eternel-et-intranquille-20200802
(1897-1982)
(1942)
Sono così profondi i tuoi occhi che piegandomi a bere
Ho visto tutti i soli venire a rimirarsi
Tutti gli afflitti gettarvisi per suicidarsi
Sono così profondi i tuoi occhi che smetto di ricordare…
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Gli occhi di Elsa
Sono così profondi i tuoi occhi che piegandomi a bere
Ho visto tutti i soli venire a rimirarsi
Tutti gli afflitti gettarvisi per suicidarsi
Sono così profondi i tuoi occhi che smetto di ricordare
All'ombra degli uccelli è turbato l'oceano
Poi gli occhi tuoi che mutano col tempo che sale
L'estate taglia agli alberi la nube sul grembiale
Il cielo non è mai blu come lo è sul grano
I venti invano scacciano dell'azzurro le sciagure
Più chiari di lui i tuoi occhi se una lacrima vi è brillata
Gli occhi tuoi ingelosiscono il cielo della schiarita
Mai il vetro fu più blu che nelle sue rotture
Madre dei sette dolori tu bagliore liquefatto
Sette spade han trafitto il prisma dei colori
Il giorno è lancinante più di tutti i dolori
L'iride forata di nero più blu di essere in lutto
Gli occhi tuoi nel dolore aprono breccia doppia
Per cui si riproduce il miracolo dei Re
Che videro col cuore fremente tutti e tre
Il manto di Maria appeso sulla greppia
Basta una sola bocca al Maggio delle parole
Per tutte le canzoni e tutte le afflizioni
E' poco un firmamento con le stelle a milioni
I tuoi occhi e i loro segreti gemelli son quello che ci vuole
Il bimbo affascinato dalle immagini belle
Spalanca i suoi occhi non così a dismisura
Come quando li fai grandi non so sei sincera
Si direbbe che la pioggia apra selvagge corolle
Che nella lavanda i bagliori hanno nascosto
Dove insetti disfanno i loro amori violenti
Sono preso nella rete delle stelle filanti
Marinaio che muore in mare in pieno agosto
Ho estratto questo radio dalla plecbenda
Bruciandomi le dita a quel fuoco proibito
O paradiso ritrovato e cento volte perduto
Gli occhi tuoi sono il mio Perù la mia Golconda la mia India
Avviene che una sera d'inverno si spezza
Su scogli che i naufraghi hanno fatto avvampare
Io vedevo brillare al di sopra del mare
Gli occhi di Elsa gli occhi di Elsa gli occhi di Elsa.
1942
Louis Aragon
Les yeux d’Elsa
Tes yeux sont si profonds qu’en me penchant pour boire
J’ai vu tous les soleils y venir se mirer
S’y jeter à mourir tous les désespérés
Tes yeux sont si profonds que j’y perds la mémoire
À l'ombre des oiseaux c’est l’océan troublé
Puis le beau temps soudain se lève et tes yeux changent
L’été taille la nue au tablier des anges
Le ciel n’est jamais bleu comme il l’est sur les blés
Les vents chassent en vain les chagrins de l’azur
Tes yeux plus clairs que lui lorsqu’une larme y luit
Tes yeux rendent jaloux le ciel d’après la pluie
Le verre n’est jamais si bleu qu’à sa brisure
Mère des Sept douleurs ô lumière mouillée
Sept glaives ont percé le prisme des couleurs
Le jour est plus poignant qui point entre les pleurs
L’iris troué de noir plus bleu d’être endeuillé
Tes yeux dans le malheur ouvrent la double brèche
Par où se reproduit le miracle des Rois
Lorsque le coeur battant ils virent tous les trois
Le manteau de Marie accroché dans la crèche
Une bouche suffit au mois de Mai des mots
Pour toutes les chansons et pour tous les hélas
Trop peu d’un firmament pour des millions d’astres
Il leur fallait tes yeux et leurs secrets gémeaux
L’enfant accaparé par les belles images
Écarquille les siens moins démesurément
Quand tu fais les grands yeux je ne sais si tu mens
On dirait que l’averse ouvre des fleurs sauvages
Cachent-ils des éclairs dans cette lavande où
Des insectes défont leurs amours violentes
Je suis pris au filet des étoiles filantes
Comme un marin qui meurt en mer en plein mois d’août
J’ai retiré ce radium de la pechblende
Et j’ai brûlé mes doigts à ce feu défendu
Ô paradis cent fois retrouvé reperdu
Tes yeux sont mon Pérou ma Golconde mes Indes
Il advint qu’un beau soir l’univers se brisa
Sur des récifs que les naufrageurs enflammèrent
Moi je voyais briller au-dessus de la mer
Les yeux d’Elsa les yeux d’Elsa les yeux d’Elsa.
1942
Louis Aragon
Inserito il 18/07/2023.
Roger Garaudy (1913-2012).
Fonte della foto: https://diazcinearchives.oembed.diazinteregio.org/photos/637%20-%2019E%20CONGRES%20DU%20PCF,%20RUSHES%20ROGER%20GARAUDY/Photos/CineA-1970-637-R-RogerGaraudy-2_5.png
Louis Aragon (1897-1982).
Fonte della foto: https://drouot.com/it/l/21078749-gisele-freund-1908-2000-louis-aragon-1939-epreuve-argentique
Estetica e comunismo
Il Partito comunista deve indicare o addirittura imporre un indirizzo estetico ai propri militanti artisti e scrittori?
Sembra strano, ma nel 1946, con le macerie delle città francesi ancora fumanti per la guerra, gli intellettuali del Partito comunista francese si scontravano su formalismo e realismo, forma e contenuto, arte impegnata e “arte per l’arte”…
Protagonisti della querelle due nomi importanti del panorama culturale francese: il filosofo Roger Garaudy, allora membro della direzione del PCF, e il poeta Louis Aragon, in precedenza massimo esponente, insieme ad André Breton, del surrealismo, e poi convertito al realismo e al servizio della classe operaia e della rivoluzione sociale e politica.
Dei riflessi italiani di tale polemica abbiamo già dato conto in un’altra sezione del sito (sezione Compagni di strada); diamo ora i testi tradotti degli interventi dei “duellanti” su riviste vicine al partito, con la parziale retromarcia finale di Garaudy.
Roger Garaudy Artisti senza uniforme
Louis Aragon L’arte, “zona libera”?
Roger Garaudy Nessuna polemica sulla libertà
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Ken Loach.
Fonte della foto: https://binrome.com/featured/ken-loach-presenta-sweet-sixteen-e-sorry-we-missed-you-a-il-cinema-in-piazza/
di Luca Peretti
Un profilo del regista inglese che ha messo la propria opera al servizio del proletariato e della rivoluzione.
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i funerali di Giuseppe Di Vittorio
di Pier Paolo Pasolini
Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della CGIL ed esponente di maggior spicco del movimento sindacale italiano, morì stroncato da un infarto a Lecco il 3 novembre 1957, all'età di 65 anni. La sua salma fu trasportata a Roma in varie tappe (stazioni di Milano, Bologna, Firenze, ecc.) in cui folle di lavoratori e cittadini poterono tributare a Di Vittorio l’ultimo saluto. Il giorno dei funerali, il 6 novembre 1957, tra le decine di migliaia di persone che affollavano le strade di Roma vi era anche un testimone d’eccezione, Pier Paolo Pasolini, che volle raccontare questa esperienza sulla rivista di attualità vicina al Partito Comunista «Vie Nuove».
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Da un funerale all’altro
Il film Uccellacci e uccellini (1966) è un capolavoro allegorico del regista friulano, una favola filosofica: in un’atmosfera quasi onirica e surreale padre e figlio (Totò e Ninetto Davoli) si incamminano per la campagna romana guidati da un corvo saccente e fastidioso come un intellettuale di sinistra che tenta di condurli sulla via del marxismo. Nella parte finale del film i due si ritrovano ad assistere al grandioso funerale di Palmiro Togliatti, il segretario generale del PCI morto nell’agosto 1964.
Pasolini riesce a rendere, attraverso 3 minuti di immagini originali dell’evento funebre, la stessa commozione e lo stesso senso di appartenenza dei militanti e dei cittadini che riusciamo a percepire anche nello scritto sulle esequie di Giuseppe Di Vittorio.
Aleksandra Kollontaj (1872-1952).
Fonte della foto: https://www.eg.ru/wp-content/uploads/2022/03/aleksandra-kollontay115516-780x585.jpg
Dalla rivista «Diacronie», in journals.openedition.org
Sovversive
di Martina Ricci
Aleksandra Kollontaj (1872-1952) fu la prima donna nella storia dell’umanità a ricoprire la carica di ministra (Commissaria del popolo all’Assistenza sociale) e poi quella di ambasciatrice. Non è un caso che ciò sia avvenuto nella Russia sovietica all’indomani della vittoria della Rivoluzione bolscevica d’ottobre, che anche grazie a donne toste come lei fu il primo paese al mondo ad aprire al suffragio universale senza distinzione di sesso.
In questo articolo si traccia un profilo del pensiero della rivoluzionaria russa, a partire dal suo saggio del 1918 La famiglia e lo Stato comunista, e della sua attività politica volta a migliorare la condizione della donna nella nuova società.
Baruch Spinoza (1632-1677), Karl Marx (1818-1883), Lev Vygotskij (1896-1934).
Fonti delle foto:
Marx, https://gospress.ru/karl-genrih-marks.html;
Vigotskij, https://i.ytimg.com/vi/tNbCYsflX6Y/maxresdefault.jpg.
Filosofia
Appunti su Spinoza attraverso Marx e Vygotsky
di Alessandro Pallassini
Le riflessioni che qui presenta lo studioso di Spinoza Alessandro Pallassini, e che rappresentano un primo approccio a uno studio di più ampio respiro, si muovono estrapolando suggestioni da tre autori (Spinoza, Marx e Vygotsky) tra di loro imparentati e cercano di abbozzare una proposta materialista rispetto al rapporto tra individuo e società in cui nessuno dei due poli sia prevalente rispetto all’altro.
Interessante in particolare l’analisi delle teorie del filosofo e psicologo sovietico Lev Vygotsky, per il quale «l’individuo si forma nell’incontro di potenzialità naturali e forme storico-sociali con le quali gli occorre di interagire durante il suo sviluppo. […] La dinamica tra individuo e società è il terreno in cui agisce la transindividualità e nella quale si formano sia l’individuo sia la società; entrambi sono sempre attraversati da tensioni e caratterizzati da un equilibrio metastabile e pertanto sempre in tensione. Questo processo è un processo continuo che investe tutta la vita dell’individuo e inevitabilmente anche della società, in un rapporto di reciproca formazione e tensionalità».
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La “nuova sinistra” del secolo scorso
(Edizioni Alegre, 2022)
🔴 recensione di Paolo Mencarelli 🔴
«Democrazia Proletaria fu la più eretica delle formazioni politiche della nuova sinistra nate negli anni Settanta. Mise insieme, con un’impostazione culturale spesso in rottura con la tradizione della sinistra comunista, migliaia di donne e uomini arrivati alla politica dalle lotte del Sessantotto e i giovani affacciatisi all’impegno militante con i nuovi movimenti degli anni Ottanta» (dalla quarta di copertina del volume).
Uno di quei giovani militanti di Dp era allora Paolo Mencarelli, storico della Resistenza e del movimento operaio e docente del Liceo classico “Galileo” di Firenze, che offre qui un profilo di quel partito prendendo spunto dall’opera che Alfio Nicotra ha svolto nella ricostruzione della sua storia nell’ambito della nuova sinistra.
Rosa Luxemburg (1871-1919).
Fonte della foto: https://revolucionvoxpopuli.files.wordpress.com/2019/01/luxemburg.jpg
Dalla rivista «Jacobin Italia»
Sovversive
di Marcello Musto
Scritto nel 2021 in occasione dei 150 anni dalla nascita di Rosa Luxemburg, questo breve saggio illustra le tappe fondamentali della sua vita e le principali linee di sviluppo della sua azione politica e della sua elaborazione teorica.
Franz Kafka (1883-1924).
Fonte della foto: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/93/Kafka1906.jpg
Kafka vaga per Sebastopoli?
Leggendo l’odierna edizione (n. 26, 5-11 luglio 2023) del giornale letterario russo «Literaturnaja gazeta» mi è saltato all’occhio questo articolo dedicato al 140° anniversario della nascita di Franz Kafka, uno dei pilastri della letteratura mondiale. L’autore del brevissimo saggio parla di Kafka ma anche di noi, delle nostre debolezze di uomini e dei nostri disastri di popoli, e parla da un luogo che è proiettato davvero in una realtà kafkiana: Sebastopoli, Crimea, Ucr…? Rus…?
Ecco, leggiamo Kafka attraverso la lente di Platon Besedin, uno scrittore di lingua russa proveniente da una città contesa tra due nazioni slave, e percepiremo tutta l’assurdità del nostro esistere su questo pianeta disperato.
Leandro Casini
di Platon Besedin
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Dimitrov e Göring (celebre fotomontaggio di John Heartfield).
Fonte della foto: https://spartacus-educational.com/GERdimitrov.htm
Germania 1933
Il 4 novembre 1933, nel tribunale di Lipsia, di fronte alla stampa internazionale, si svolse l’epico scontro processuale tra Georgi Dimitrov, il capo comunista bulgaro accusato di aver incendiato il Reichstag nel febbraio di quell’anno, e il ministro del Reich Hermann Göring. Diamo il resoconto stenografico della seduta in cui il ministro, chiamato a testimoniare per aver indirizzato le indagini sulla falsa pista comunista, deve subire le domande di Dimitrov nella veste di avvocato difensore di se stesso.
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Dalla rivista «Diacronie», in journals.openedition.org
Sovversive
di Jacopo Romano
Presentiamo un estratto da un breve saggio biografico sulla rivoluzionaria tedesca Clara Zetkin, attiva tra Ottocento e Novecento nell’ambito del femminismo di classe e nella lotta contro la guerra imperialista e il nazifascismo.
Clara Zetkin (1857-1933).
Fonte della foto: https://ilmitte.com/2022/03/clara-zetkin-eroina-della-parita-di-genere-ma-contro-il-femminismo-borghese/zetkin_clara/
Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino.
Fonte della foto: https://www.ilprimoamore.com/pasolini-contro-calvino-nuova-edizione/
Dibattiti culturali
Anni Settanta. Altri tempi, tempi in cui il dibattito si svolgeva tra giganti del pensiero e della letteratura, della linguistica e della filosofia. E i giornali, le riviste, le aule delle università si confrontavano sul tema del giorno senza tregua, senza dar segni di stanchezza, colpo su colpo.
Fermento politico, impegno culturale, vivacità d’idee, spessore teorico: tutto questo emerge dal dibattito di cui oggi presentiamo il contesto e un testo fondamentale. Il contesto lo traiamo da una ricca ricostruzione di Valerio Valentini: Pier Paolo Pasolini è al centro di attacchi da più parti per alcune sue dichiarazioni e poesie in cui il poeta manifesta un certo rimpianto per la cultura contadina del passato, soprattutto per sottolineare il rifiuto della moderna società dei consumi, alienatrice e omologatrice, distruttrice di ogni cultura. Il testo invece, una Lettera aperta di Pasolini a Italo Calvino, lo riprendiamo direttamente dall’edizione del 7 luglio 1974 di «Paese Sera», giornale di area PCI che in quegli anni offriva ampio spazio agli intellettuali di sinistra.
Valerio Valentini Pasolini, Calvino e gli altri: una polemica
Pier Paolo Pasolini Quello che rimpiango (Lettera aperta a Italo Calvino)
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Lettera a una professoressa
di Elvio Fachinelli, Franco Fortini, Giovanni Giudici
«Quaderni piacentini» fu una rivista politico-culturale, fondata nel 1962 da Piergiorgio Bellocchio (fratello del regista Marco) e Grazia Cherchi, che giocò un ruolo di primo piano nel dibattito politico, filosofico, letterario della sinistra marxista degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Basti pensare al lungo elenco di illustri collaboratori: Franco Fortini, Sebastiano Timpanaro, Goffredo Fofi, Edoarda Masi, Giovanni Giudici, Giacomo Marramao, Alberto Asor Rosa, Cesare Cases, Roberto Roversi, ecc.
Oggi da questa rivista riprendiamo tre articoli dedicati al libro dei ragazzi di Barbiana e del loro maestro Lorenzo Milani Lettera a una professoressa: dal tenore di questi articoli di tre illustri intellettuali del tempo possiamo capire l’impatto dirompente che ebbe il libro negli ambienti culturali di sinistra di quegli anni.
Elvio Fachinelli «Un testo cinese»
Franco Fortini «Lotta per l’eguaglianza»
Giovanni Giudici «Mi parlò del lavoro che progettava…»
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Primo Levi (1919-1987).
Fonte della foto: https://biografieonline.it/img/bio/Primo_Levi_0.jpg
Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi
Filosofia
di Alessandro Pallassini
(Pistoia, Editrice Petite Plaisance, 2017)
Per gentile concessione dell’autore, riportiamo l’Introduzione a questo volume che affronta il problema della libertà nella filosofia di Spinoza.
«Parlare della libertà in Spinoza può non sembrare facile. Infatti, il rigido determinismo che pare dominare il pensiero del filosofo olandese sembra non lasciare spazio a nessun tipo di libertà. D’altro canto, però, la ricerca di un agire libero è il fine ultimo di tutto il pensiero spinoziano. Finitezza e Sostanza affronta il problema proponendosi di ricostruire, all’interno del pensiero del filosofo olandese, un modello di libertà che, a partire dall’ontologia profonda, dia ragione della costruzione di una libertà sociale concreta» (dalla quarta di copertina del volume).
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Olimpiadi di Città del Messico 1968
Tre uomini liberi, due pugni in guanti neri
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Un’immagine-simbolo del 1968, l’anno in cui i continenti europeo e americano conobbero le più grandi contestazioni giovanili e progressiste del Novecento.
La gara dei 200 m piani non fu certo una passeggiata, ma quel che successe sul podio, in diretta tv mondiale, fu inaudito, tanto da comportare conseguenze “tombali”, dal punto di vista sportivo, per i tre atleti.
Nella finale dei 200 m Tommie Smith precedette il compagno di squadra John Carlos, superato a sorpresa anche dall’australiano Peter Norman. Già in semifinale i due americani avevano battuto il record mondiale, ma in finale il tempo di Smith scese, per la prima volta nella storia, sotto i 20 secondi (19''83); gli ultimi dieci metri li corse con le braccia alzate in segno di vittoria, altrimenti la prestazione sarebbe stata ancora migliore.
Nel giorno della premiazione i tre vincitori delle medaglie olimpiche si presentarono sul podio con in bella evidenza sulla tuta la spilla rotonda bianca che simboleggiava il movimento Olimpic Project for Human Rights (OPHR, Progetto olimpico per i diritti umani), un’organizzazione che lottava perché agli atleti afroamericani fosse concesso il diritto alle borse di studio per attività sportive che venivano assegnate ai colleghi bianchi.
All’attacco dell’inno nazionale, i due americani abbassarono la testa e alzarono il pugno guantato di nero: la patria della libertà e dei diritti umani negava ancora agli afroamericani diritti elementari.
Il gesto di Smith e Carlos provocò la loro immediata espulsione dal villaggio olimpico e l’esclusione dalla rappresentativa olimpica statunitense. Ai due non fu più permesso di praticare l’atletica, e Smith “si riciclò” come giocatore di football americano.
In patria i due furono minacciati di morte, e la moglie di Carlos si suicidò perché non resse il peso del clima di odio che circondò la sua famiglia.
Dal punto di vista sportivo non andò meglio al loro compagno di podio, Peter Norman. Questi, per aver solidarizzato con l’OPHR, fu condannato dai mass-media australiani e boicottato dai vertici sportivi del suo paese: pur qualificatosi per i 100 e i 200 m per le Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, la Federazione Olimpica australiana non lo incluse nella squadra olimpica e rinunciò addirittura a presentare velocisti per quell’edizione dei Giochi olimpici.
Quando nel 2006 Peter morì per un infarto, a sorreggere il feretro per l’ultimo viaggio furono i suoi compagni Tommie Smith e John Carlos.
L.C.
Inserito l’08/06/2023.
Olimpiadi di Città del Messico, 1968. Sul podio dei 200 m piani: 1. Tommie Smith; 2. Peter Norman; 3. John Carlos.
Fonte della foto: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/3e/John_Carlos%2C_Tommie_Smith%2C_Peter_Norman_1968cr.jpg
Albert Camus.
Fonte della foto: https://www.patriaindipendente.it/wp-content/uploads/2018/12/Albert-Camus.jpg
di Paolo Mencarelli
Lo scrittore resistente: rivolta e collera in lui convissero sempre con l’attenzione e l’approfondimento delle ragioni morali, del significato da dare alla partecipazione alla attività clandestina e alla lotta a morte contro il nazifascismo.
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Dossier “Porrajmos”, l’altra Shoah
a cura di United States Holocaust Memorial Museum
Una ricostruzione storica della tragedia di questi popoli discriminati.
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I Rom vengono deportati a Kozare e Jasenovac, due campi di concentramento istituiti dai Croati. Jugoslavia, luglio 1942.
Fonte della foto: https://encyclopedia.ushmm.org/images/large/6389a16e-f794-4a4a-812f-5de685403f29.jpg.pagespeed.ce.nEqb9ZkC19.jpg
Berlino, 27 febbraio 1933: il Reichstag in fiamme.
Fonte della foto: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/20/Reichstagsbrand.jpg
Dalla rivista «Diacronie», in journals.openedition.org
Germania 1933: l’incendio del Reichstag
di Giulia Casadei
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Prossimamente: Germania 1933: il confronto Dimitrov-Goebbels al processo di Lipsia.
POLITICA E CULTURA: la rottura finale tra Vittorini e il PCI
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Era il 1951 – «Il Politecnico» aveva chiuso i battenti già da quattro anni – quando Elio Vittorini scrisse sulla «Stampa» un articolo in cui informava che non faceva più parte dell'area politico-culturale che gravitava intorno al Partito Comunista (non risulta altresì che al PCI sia mai stato iscritto). L'articolo s'intitolava Le vie degli ex-comunisti ed enumerava un discreto numero di scrittori e intellettuali che nel mondo avevano abbandonato il marxismo in quegli anni, per le rigidità sovietiche o il dottrinarismo che trasformavano i partiti comunisti in chiese.
A sancire la rottura venne poi, in risposta, l'articolo su «Rinascita» a firma "Roderigo di Castiglia", lo pseudonimo dietro il quale si celavano gli interventi di Palmiro Togliatti in persona; un articolo il cui titolo suonava come uno sberleffo, o un epitaffio, fate voi: “Vittorini se n’è ghiuto, E soli ci ha lasciato!…” (Canzone napoletana).
Su spaziocollettivo.org chiudiamo il «Dossier Il Politecnico» con questi due documenti fondamentali nella storia del PCI dei primi anni del secondo dopoguerra.
In via di pubblicazione abbiamo anche la ricostruzione dell'esperienza del «Politecnico» fatta qualche anno dopo da Franco Fortini, uno dei giovani redattori della rivista di Elio Vittorini.
Di Georgi Dimitrov (1882-1949) in Italia ormai si sa poco. Eppure questo dirigente del movimento sindacale e comunista bulgaro fu, negli anni Venti, l’animatore della prima rivolta europea contro un regime fascista, quello del golpista Tsankov in Bulgaria.
Ma fu nell’esilio in Germania che si meritò la fama mondiale: egli fu il primo a dare uno schiaffo internazionale al prestigio del neonato regime nazista tedesco. Il 27 febbraio 1933, poco prima delle elezioni parlamentari, scoppiò un incendio doloso nell’edificio del Parlamento, il Reichstag. L’opinione pubblica fu orientata dalla propaganda nazista a ritenere che i responsabili fossero i comunisti, e anche sull’onda di questo evento il Partito Nazionalsocialista vinse le elezioni. Proprio Dimitrov venne accusato del fatto insieme al presunto «comunista olandese» Van der Lubbe e a due comunisti bulgari: a Lipsia, al processo che ne seguì, di fronte ai corrispondenti di tutta la stampa mondiale, egli riuscì a ribaltare le accuse proprio sui massimi esponenti del Partito Nazionalsocialista, fino a costringere il procuratore generale ad assolverlo. Agli occhi del mondo democratico e del movimento operaio egli divenne così l’«eroe di Lipsia», e con tale titolo di prestigio giunse nell'esilio di Mosca, dove fu nominato presidente dell'Internazionale comunista. Fu lui l’artefice del cambio di linea del Comintern che, contro il fascismo mondiale, nel 1935 diede vita alla politica dei Fronti popolari antifascisti.
Pubblichiamo di seguito il ricordo che ne traccia Palmiro Togliatti, suo vice alla presidenza del Comintern: lo scritto del segretario del PCI ha in parte, è vero, il sentore dell’agiografia, un tratto che non stupirà chi viene dalla nostra storia, che è fatta di lotte ma anche di riti, di ricerca innovativa ma anche di costruzione di miti. Eppure nell’articolo di Togliatti si devono rilevare anche dei passaggi autocritici, quelli sulle rigidità delle formule e degli schemi separati dalla realtà che caratterizzarono alcuni anni del movimento comunista internazionale, quelli sulle vecchie concezioni della lotta da applicare sempre e comunque senza guardare alle specificità delle realtà di ogni popolo e di ogni paese; e Togliatti stesso riconosce in Dimitrov il promotore di una nuova visione nel modo di operare del movimento comunista.
L.C.
Dal periodico «Sinistra sindacale»
In occasione del centenario della nascita
di Giorgio Riolo
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Don Lorenzo Milani.
Fonte della foto: https://www.rivistaetnie.com/wp-content/uploads/2022/11/don-lorenzo-milani.jpg
Dossier Il Politecnico
Intermezzo francese con riflessi italiani
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Una querelle tra illustri esponenti della cultura aderenti al Partito comunista francese rappresentò un’ulteriore occasione per uno scambio polemico tra Vittorini, dalle colonne del suo «Politecnico», e «Rinascita», la rivista teorica del PCI fondata e diretta da Palmiro Togliatti in persona.
Un articolo del 1946 del filosofo marxista Roger Garaudy (membro della direzione del PCF) in cui si negava l’esistenza di un’estetica comunista ricevette una dura replica da parte del poeta e scrittore Louis Aragon, ex esponente dell’avanguardia surrealista e ormai principale animatore della politica culturale del partito. Lo stesso Garaudy, subito dopo, tornò sui propri passi e ammise (forse obtorto collo) che gli artisti comunisti dovevano trovare nel realismo la via per la creazione della propria arte in connessione con la lotta progressiva per un mondo migliore.
Elio Vittorini riprese per la propria rivista (n. 33-34, settembre-dicembre 1946) il primo articolo di Roger Garaudy, in pratica sottoscrivendolo e inserendolo nel solco della propria teoria su una “nuova cultura” in contrapposizione alle linee di politica culturale del partito; nell’introdurre lo scritto di Garaudy, però, Vittorini non fece menzione né della replica di Aragon né della marcia indietro del filosofo; su questi sviluppi della discussione tra gli intellettuali comunisti francesi «Il Politecnico» non aggiornò i propri lettori neanche nelle uscite successive, e questa omissione dette il destro a «Rinascita» (n. 5, maggio 1947) di criticare Vittorini accusandolo di essere in malafede, avendo presentato i termini della questione in modo parziale («con discutibile fedeltà»).
L.C.
Inserito il 28/05/2023.
Si stima che siano state circa 500.000 le persone di etnia Rom, Sinti, Manush, Kalé (coloro che dagli altri popoli vengono generalmente chiamati “zingari”) sterminate nei campi nazisti, insieme ad Ebrei, omosessuali, comunisti e altri oppositori di vario orientamento politico. Fino a qualche anno fa questo fenomeno drammatico non ha riscontrato molto interesse, neanche nella ricerca storica.
A Prato abbiamo invece uno storico, Luca Bravi, che si è dedicato alla ricerca su questo tema e ha contribuito a divulgare la memoria di quest’enorme numero di vittime della follia razzista, una memoria che inizia a farsi strada anche sui mezzi d’informazione di massa. E con l’aiuto del prof. Bravi Rai Scuola ha prodotto nel 2022 un documentario proprio sul genocidio di Rom e Sinti.
In questo nostro sito presenteremo un piccolo “dossier” che raccoglie alcuni materiali dedicati a tale tema, e vogliamo iniziare proprio dal link al documentario di Rai Scuola.
Due parole ora sul termine Porrajmos, che traiamo da Wikipedia:
«Il termine Porrajmos [dalla lingua romanì, traducibile con “grande divoramento” o “devastazione”], diffuso inizialmente da Ian Hancock, uno dei massimi studiosi del genocidio, oggi viene messo in discussione dalle stesse comunità romanì, perché da molti considerato inadeguato. Viene sempre più utilizzato il termine Samudaripen (Samudaripen = sa+mudaripen = tutti+uccisione = uccisione di tutti = sterminio, genocidio), ritenuto più appropriato».
– Luca Bravi e il Porrajmos, il genocidio di Rom e Sinti
– Il genocidio dei Rom in Europa, 1939-1945
Il romanzo biografico di un rivoluzionario
di A.V. Tiškov
(Da: A.V. Tiškov, Dzeržinskij, il «giacobino proletario» di Lenin. Una vita per il comunismo, Zambon Editore, 2012)
Riprendiamo dal volume di Tiškov i paragrafi relativi alle prime esperienze politiche del futuro capo della Čeka, la polizia politica da lui organizzata e diretta dopo la rivoluzione bolscevica russa.
Polacco, studente del primo liceo di Vilnius, in Lituania, incontrò il marxismo grazie alle opere di Lenin che circolavano in clandestinità nell'Impero Russo: nella sua attività politica di liceale cercò di unire la lotta per la liberazione nazionale polacca e lituana dallo zarismo a quella per l'unità internazionalista dei proletari contro il capitalismo.
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Sergej Esenin (1895-1925). Fonte della foto: wikimedia.org
Sotto: l’ultima poesia di Esenin, scritta col sangue.
di Vladimir Vladimirovič Majakovskij
Due poeti sempre sopra le righe, due persone altrettanto sopra le righe, due suicidi. Quello del rapporto – conflittuale, e non a caso – tra Vladimir Majakovskij e Sergej Esenin è un tema di cui molti si sono occupati e che ci impegniamo a riproporre su questo sito. Intanto però godiamoci la poesia che Majakovskij iniziò a scrivere subito dopo il suicidio del “poeta contadino” Esenin, avvenuto il 28 dicembre 1925, e che portò avanti per qualche mese, fino alla sua pubblicazione sul giornale in lingua russa di Tiflis «Zarja Vostoka» [L’Aurora d’Oriente] il 16 aprile 1926.
Il suicidio del fondatore della corrente immaginista ha in seguito destato dubbi, ma ne parleremo altrove. Qui si noti il riferimento che Majakovskij fa alla mancanza d’inchiostro nella camera d’albergo del poeta: Esenin, infatti, scrisse una poesia d’addio a un caro amico usando come inchiostro il proprio sangue. Eccola:
Arrivederci, amico mio, arrivederci.
Tu sei nel mio cuore.
Una predestinata separazione
Un futuro incontro promette.
Arrivederci, amico mio,
Senza strette di mano, senza parole,
Non rattristarti e niente
Malinconia sulle ciglia:
Morire in questa vita non è nuovo,
Ma più nuovo non è nemmeno vivere.
Agli ultimi due versi del poeta suicida (Morire in questa vita non è nuovo / Ma più nuovo non è nemmeno vivere), Majakovskij contrappone i propri ultimi due versi:
In questa vita
non è difficile
morire.
Vivere
è di gran lunga più difficile.
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di Giorgio Riolo
Introduzione al saggio: Samir Amin, Eurocentrismo. Modernità, religione e democrazia. Critica dell’eurocentrismo, critica dei culturalismi, a cura di Giorgio Riolo, traduzione di Nunzia Augeri, La Città del Sole, Napoli, 2022.
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Un attentato partigiano, la reazione nazifascista, le polemiche tra gli antifascisti e la Curia
L’uccisione da parte dei GAP del tenente colonnello Gino Gobbi scatena una dura rappresaglia fascista: cinque detenuti politici vengono fucilati.
Un appello alla concordia del cardinale Dalla Costa provoca una dura replica da parte del Partito d’Azione pubblicata sul suo giornale clandestino «La Libertà».
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Dossier
diretto da ELIO VITTORINI
Leandro Casini - Che cosa fu «Il Politecnico» 🔴
Elio Vittorini - Una nuova cultura
Jean-Paul Sartre - Una nuova cultura come “Cultura sintetica”
Franco Fortini - Cultura come scelta necessaria
Giansiro Ferrata - Dove si parla di noi, di cultura e di un amico di «Società»
Mario Alicata - La corrente «Politecnico»
Elio Vittorini - Risposte ai lettori - Politica e cultura
Giansiro Ferrata - Risposte ai lettori - Rivoluzione è dialettica
Palmiro Togliatti - Politica e cultura - Lettera a Elio Vittorini
Elio Vittorini - Politica e cultura - Lettera a Togliatti
Felice Platone - La politica comunista e i problemi della cultura (Risposta a Elio Vittorini)
Fabrizio Onofri - Politica è cultura
Elio Vittorini - “Politica e cultura”: un’intervista
Elio Vittorini - Le vie degli ex-comunisti
Palmiro Togliatti - “Vittorini se n’è ghiuto, E soli ci ha lasciato!…”
Franco Fortini - Che cosa è stato «Il Politecnico»