Aleksandra Kollontaj

Dalla rivista «Diacronie», in journals.openedition.org

Sovversive

Aleksandra Kollontaj
Impegno totale per la liberazione della donna

di Martina Ricci

Aleksandra Kollontaj (1872-1952) fu la prima donna nella storia dell’umanità a ricoprire la carica di ministra (Commissaria del popolo all’Assistenza sociale) e poi quella di ambasciatrice. Non è un caso che ciò sia avvenuto nella Russia sovietica all’indomani della vittoria della Rivoluzione bolscevica d’ottobre, che anche grazie a donne toste come lei fu il primo paese al mondo ad aprire al suffragio universale senza distinzione di sesso. 

In questo articolo si traccia un profilo del pensiero della rivoluzionaria russa, a partire dal suo saggio del 1918 La famiglia e lo Stato comunista, e della sua attività politica volta a migliorare la condizione della donna nella nuova società.

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Aleksandra Kollontaj

Impegno totale per la liberazione della donna


1. Introduzione


Aleksandra Kollontaj è stata uno dei personaggi più importanti della Rivoluzione d’ottobre. Nata nel 1872 in una famiglia di antica nobiltà russa, fu una di quelle persone che «usarono coerentemente il privilegio di provenire da una famiglia borghese per formarsi una coscienza critica e che per tutta la vita misero le proprie conoscenze al servizio della lotta per un ordinamento sociale più giusto»1. Aleksandra fin da bambina ha sempre dimostrato grande sensibilità nei confronti delle classi subalterne; la miseria della servitù della casa paterna e l’amatissima istruttrice politicamente impegnata hanno avuto una grande influenza nella sua formazione2. Contro il volere della famiglia sposò giovanissima un ingegnere borghese (Kollontaj), con il quale ebbe anche un figlio. Insoddisfatta della vita coniugale, nel 1896 abbandonò la famiglia per studiare economia a Zurigo, dove s’imbatté in un gruppo di profughi politici russi e diventò progressivamente marxista. Cominciò a viaggiare per l’Europa, e lì conobbe e si legò a importanti esponenti del movimento socialista come Vladimir Lenin e Clara Zetkin. Pochi anni dopo era già una delle principali figure del movimento socialista e comunista dei primi decenni del Novecento; questo le costò il carcere e l’esilio dalla madre patria3. Nel 1915 si unì ai bolscevichi e alla causa proletaria, senza però abbandonare la lotta femminista. Al contrario, per Aleksandra, «la Rivoluzione d’ottobre significava la realizzazione delle sue speranze dell’instaurazione di un nuovo ordine sociale per le donne»4. Le sue idee erano una sorta di combinazione tra marxismo e femminismo: lei credeva che il socialismo marxista fosse la migliore via per raggiungere l’emancipazione femminile5. Sosteneva l’idea che la liberazione della donna fosse legata inseparabilmente alla liberazione di uomini e donne dal capitalismo6. Lei stessa spiegava che


in Russia c’era già un movimento piuttosto forte costituito da donne di estrazione borghese, ma la mia ideologia marxista mi faceva vedere con estrema chiarezza che la liberazione della donna si poteva raggiungere solo in quanto risultato di una vittoria che imponesse un nuovo ordine sociale ed un nuovo sistema economico.7


Al momento della presa di potere bolscevica, ad Aleksandra fu affidato il Dipartimento degli affari sociali. Fu la prima donna della storia a ricoprire una carica così alta. Essa svolse a pieno il suo compito di commissario [del popolo] redigendo un progetto di decreti che cambiarono radicalmente le condizioni della donna8. Aleksandra credeva che la lotta femminista dovesse essere combattuta su due fronti: la liberazione economica e l’emancipazione sessuale. Secondo lei, l’indipendenza economica non era sufficiente per risolvere i problemi delle donne. Marxista convinta, si aspettava che una rivoluzione socialista e sessuale avrebbe portato alla distruzione della società di classe e della famiglia9. Solo il tempo avrebbe dimostrato che non era così semplice, che vi erano altre priorità. Lei stessa afferma di essersi resa conto «di quanto poco il partito si preoccupasse del destino delle donne della classe operaia e quanto limitato fosse il suo interesse alla liberazione delle donne»10. Aleksandra ha espresso instancabilmente le sue idee, e questo spesso l’ha portata contro i suoi stessi compagni, che forse non erano pronti a delle visioni così rivoluzionarie. Negli anni Venti, le questioni sociali ed economiche furono oggetto di controversie all’interno del Partito11 e, come vedremo, questo avrà delle ripercussioni su Aleksandra. Rimase al governo con Lenin fino al 1922, «quando le difficoltà incontrate dalle sue iniziative in favore dell’emancipazione femminile la costringono a dimettersi e ad intraprendere la carriera di ambasciatrice all’estero»12.

In questo articolo, verranno illustrate le riflessioni di Aleksandra Kollontaj sull’emancipazione femminile e il suo progetto iniziale per la liberazione economica delle donne. Mi soffermerò più precisamente sulle sue elaborazioni riguardanti il lavoro, la famiglia e lo Stato. Ci concentreremo sul suo scritto La famiglia e lo Stato comunista [Sem’ja i kommunističeskoe gosudarstvo]. Il periodo storico preso in considerazione dall’articolo corrisponde quindi ai primi anni della giovane repubblica sovietica, dal consolidamento del regime fino alla stalinizzazione. Gli anni che ci interessano di più sono quelli dal 1918 al 1922, periodo di maggiore attività politica di Kollontaj. Il primo paragrafo tratterà del lavoro salariato come strumento di liberazione femminile; il secondo focalizzerà l’attenzione sul lavoro domestico e sull’idea di una nuova struttura familiare e statale; infine verranno affrontate le difficoltà riscontrate da Aleksandra e la sua eredità.


2. Il lavoro: uno strumento di emancipazione e “liberazione”


Nei decenni a cavallo fra Ottocento e Novecento nei movimenti socialisti era emerso il problema legato all’emancipazione femminile. Gli stessi Marx e Engels avevano indicato «nello stato dei rapporti fra donne e uomini un criterio per misurare e valutare il grado di civiltà di una società, denunciando con lucidità lo stato di degradazione morale e di schiavitù materiale cui la società capitalistica costringe la maggior parte delle donne»13. Secondo loro l’emancipazione della donna poteva essere raggiunta solo attraverso la lotta del proletariato. Engels vedeva l’origine della schiavitù femminile nella proprietà privata, «quindi la rivoluzione socialista e l’abolizione della proprietà privata avrebbero messo fine alla schiavitù della donna, e non solo di quella proletaria»14. Nella nascente Repubblica Sovietica la rivoluzione proletaria era già avvenuta, e si doveva quindi pensare a quali percorsi intraprendere per raggiungere la vera liberazione femminile. Aleksandra aveva le idee chiare:


ero incline sempre più all’idea che doveva venire il momento in cui la donna potesse essere giudicata con lo stesso metro morale degli uomini: poiché non è la sua tipica pazienza femminile che le conferisce un posto d’onore nella società degli uomini, bensì l’utilità del lavoro da essa compiuto, il valore della sua personalità intesa come essere umano, come cittadino, come essere pensante, come colui che combatte.15


Il lavoro quindi diventa la chiave. Esso è l’elemento centrale del pensiero comunista, quale fonte di autorealizzazione e di partecipazione alla società ed alla vita comune. Non deve stupirci quindi che diventi anche lo strumento di liberazione principale per le donne.

Al fine di comprendere al meglio il pensiero di Aleksandra è importante chiarire la situazione lavorativa femminile in Russia nei primi anni del novecento. In effetti, c’erano stati grandi cambiamenti: a causa della guerra «tra il 1914 e il 1918 il lavoro femminile in Russia era aumentato dal 70 al 400 per cento, a seconda dei settori»16. La posizione sociale della donna si era dunque trasformata radicalmente in pochi anni, «già nella Russia prerivoluzionaria le lavoratrici delle industrie tessili rappresentavano il gruppo quantitativamente più forte e più combattivo»17. Anche le donne cominciavano ad essere un attore sociale importante, ci basti pensare che la Rivoluzione di febbraio è cominciata proprio da uno sciopero di operaie. Con l’instaurazione del potere rivoluzionario vi è stata l’introduzione dell’«obbligo generale al lavoro» e questo fu una svolta decisiva, secondo l’ottica della nostra autrice, in direzione dell’emancipazione della donna18. Aleksandra vede nel lavoro il principale ruolo liberante per le donne siccome dona possibilità di creatività e assunzione di responsabilità19. Nel nuovo modello di società proposto da Kollontaj: «la donna della città comunista non dipende più dal marito, ma dal proprio lavoro, non è più il suo uomo a nutrirla, ma le proprie braccia d’operaia»20.

La “nuova donna” socialista proposta da Aleksandra Kollontaj è quindi un soggetto autosufficiente e autonomo della società. Lei crede che il lavoro sia lo scopo principale dell’esistenza21. Esso non rappresenta solo una conquista d’indipendenza economica, ma assume anche il ruolo di strumento d’autorealizzazione personale e di partecipazione alla vita politica. Infatti nel 1918 Aleksandra fu tra le organizzatrici del Primo Congresso delle donne lavoratrici russe dal quale nacque lo Ženotdel [Otdel po rabote sredi ženščin, o Ženskij otdel: Sezione per il lavoro tra le donne, o Sezione femminile, ndr], organismo per la promozione della partecipazione delle donne alla vita pubblica, per le iniziative sociali e la lotta all’analfabetismo22. Quest’organo mirava «alla cooperazione politica delle donne in tutte le istituzioni dei soviet»23. Negli anni successivi lo Ženotdel organizzava settimanalmente incontri tra delegate, ai quali partecipava una delegata per ogni fabbrica, e bisogna sottolineare il fatto che «la sezione femminile aveva notevole influsso sulla legislazione sociale e sul diritto di famiglia, come si dimostrò, per esempio, con la legalizzazione dell’aborto (1920)»24.

Il lavoro quindi, era fonte di emancipazione domestica, di partecipazione alla vita politica e di autorealizzazione personale. Ciononostante bisogna dire che la possibilità di scegliere un’“attività amata” sarebbe rimasta un privilegio di pochi. Inoltre, perché il lavoro possa realmente essere uno strumento di liberazione bisognava risolvere, secondo Kollontaj, il problema del “lavoro domestico”. Come si può pensare ad una vera partecipazione delle donne alla società comunista visto l’alto numero di ore occupato del lavoro domestico? Il carico di lavoro domestico che gravava sulle donne lavoratrici era un problema che il nuovo Stato comunista avrebbe dovuto risolvere, secondo Aleksandra.


3. Stato, famiglia e lavoro domestico


Come abbiamo già rilevato le questioni sociali, e soprattutto il tema della famiglia e del matrimonio, erano i prediletti di Aleksandra. Ora focalizzeremo l’attenzione sulla sua elaborazione inerente al lavoro domestico, alla famiglia e allo stato a partire dal testo del 1918 La famiglia e lo Stato comunista. Secondo Kollontaj la forma tradizionale della famiglia si distrugge progressivamente in tutti i paesi nei quali regna il capitale. Afferma che «più il lavoro salariato delle donne si generalizza, più la famiglia si disgrega»25. Prima dell’avvento del capitalismo, solo l’uomo era il sostegno familiare (nel senso di apporto di capitale). Con le difficoltà economiche che emergono dall’instaurazione dei regimi capitalisti, Kollontaj spiega che, siccome il solo salario dell’uomo non è più sufficiente a provvedere ai bisogni familiari, anche la donna è obbligata a cercare un lavoro remunerato fuori di casa26.

La donna, investendo tutte le ore a disposizione nel lavoro salariato, smette quindi di lavorare per il nucleo domestico. La donna prima produceva merce per l’economia domestica27, come ad esempio candele, alimenti in conserva, filo da tessitura, ecc. La merce in eccesso era venduta in piccoli mercati. Secondo lei lo stato beneficiava del lavoro non remunerato delle donne, poiché non doveva provvedere a questi bisogni della popolazione che venivano soddisfatti grazie al lavoro domestico delle donne28. Come mai questo cambio di paradigma? Il capitalismo ha sostituito questo lavoro con le fabbriche, «tutto ciò che prima si faceva in famiglia, ora veniva prodotto in serie, negli opifici e nelle fabbriche»29. Ora sono le operaie e gli operai nelle fabbriche che producono questo genere di beni. C’è quindi un cambiamento importante: «la famiglia consuma e non produce più»30.

Le conseguenze di questo cambiamento di paradigma per le donne sono state importanti, esse si sono ritrovate a dover svolgere più compiti allo stesso momento. Secondo Kollontaj il lavoro domestico non è più produttivo, e la donna si ritrova a dover compiere tre compiti alla volta: fornire delle ore di lavoro, il ménage domestico, e prendersi cura dei figli31. Il capitalismo ha quindi messo un grande fardello sulle spalle delle donne, le ha rese delle salariate, pur restando schiave del carico domestico.

Per Aleksandra Kollontaj la soluzione sembra essere la costruzione di una società comunista. Infatti, secondo lei, in una società comunista la lavoratrice non dovrà più sprecare le sue ore riservate allo svago a cucinare siccome ci saranno dei ristoranti pubblici e delle cucine centrali dove tutti potranno andare a prendere i pasti32. Nella società comunista di domani la donna non dovrà occuparsi nemmeno dell’abitazione, poiché ci sarà una categoria di lavoratori specializzati che si occuperà anche di quello. Ciò che lei prevede sono quindi dei “servizi collettivi” che si sostituiranno ai lavori domestici a carico delle donne, quindi una trasformazione delle attività domestiche in un’economia socializzata, con la creazione di: cucine comuni e refettori pubblici, di lavanderie, sartorie, asili e nidi d’infanzia, collegi e istituti scolastici di vario tipo33. La forza lavoro della donna doveva essere, come quella di ogni altro individuo, completamente a disposizione dello Stato socialista e «per incrementare il loro rendimento professionale si doveva garantire alle donne libero accesso all’istruzione»34. Kollontaj «vedeva il progresso esistenziale per la donna, da un lato, nella possibilità di svolgere, al di là dell’ambito privato familiare, un lavoro utile e socialmente riconosciuto; dall’altro, nella conquista dell’indipendenza economica dall’uomo»35. Precisava inoltre che «l’uguaglianza economica e politica della donna poteva comunque realizzarsi soltanto se la maternità veniva considerata una funzione sociale e, in quanto tale, protetta dallo Stato»36.

Ricapitolando, Aleksandra prevedeva la fine della struttura familiare esistita fino a quel momento: «le sue basi erano già state minate dal numero crescente di donne salariate, e nella nuova società i fondamenti materiali della famiglia sarebbero definitivamente scomparsi»37. Inoltre, il vecchio sistema dei lavori domestici sarà rimpiazzato dai servizi collettivi di lavanderia, cucina, per la pulizia domestica. Tutto il lavoro di ménage domestico, cura ed educazione dei figli compresi, saranno assicurati dalla società38. Questo processo avrebbe assicurato alle donne maggior tempo a disposizione e maggior libertà individuale per diventare un individuo realizzato e partecipativo nella società. Il tempo ci ha dimostrato che il pensiero di Aleksandra era forse troppo ottimista.


4. Tra realtà e utopia


Aleksandra Kollontaj riuscì in un primo momento a varare delle riforme radicali, quali la legge sul matrimonio, il divorzio, e l’aiuto statale alle madri.


I primi anni del regime sovietico hanno realmente sconvolto strutture millenarie di subordinazione schiavistica delle donne in quel paese consentendo loro di accedere non solo al voto, ma anche alle professioni, alle cariche istituzionali, e di liberarle, in parte, dai pesi della famiglia con la costruzione di servizi sociali molto diffusi soprattutto nelle città39.


Nel periodo post-rivoluzione stava emergendo una nuova società basata sulla valorizzazione dell’individuo tramite il lavoro, ed il raggiungimento dell’emancipazione femminile sembrava fosse all’orizzonte. Aleksandra, infatti, scrisse La famiglia e lo Stato comunista nel 1918, quando ancora vi erano grandi presupposti e grandi speranze per la Rivoluzione bolscevica. Con il tempo, lei stessa si rese conto che l’emancipazione femminile non si sarebbe acquisita così facilmente. Nonostante i cambiamenti radicali, soprattutto per quanto riguardava lo statuto giuridico, «le donne continuarono a sbrigare i quattro quinti del lavoro domestico: evidentemente disponevano di meno tempo degli uomini per attività politiche e sociali in genere», e «nella coscienza delle persone e nel rapporto tra i sessi è rimasto quasi tutto come prima»40. Or dunque, «l’espropriazione degli espropriatori (Marx) non porta automaticamente alla liberazione della donna»41.

Aleksandra, rendendosi conto di queste difficoltà, nel 1926 scriveva:


Ora, se è vero che il lavoro è senz’altro uno strumento di emancipazione, in quanto, permettendo alle donne l’indipendenza economica, le emancipa dalla schiavitù domestica e dall’asservimento emotivo nel matrimonio, è anche vero che, nei confronti di un rapporto amoroso liberamente scelto e non istituzionalizzato, è solo parzialmente un mezzo di liberazione, perché non è sufficiente, da solo, a determinare la presa di coscienza dei modelli discriminatori che sopravvivono all’interno della coppia eterosessuale. I limiti dell’attività extra-domestica, come strumento di liberazione, appaiono evidenti nei paesi socialisti europei, dove la condizione delle donne è indubbiamente paritaria per quanto riguarda le possibilità di lavoro e la legislazione (pieno impiego, diritto di aborto, divorzio), ma è rimasta ancorata ai modelli tradizionali per quanto riguarda il loro ruolo all’interno della struttura famigliare42.


Aleksandra Kollontaj si rese conto che la lotta per la “liberazione” femminile doveva ancora essere combattuta, e soprattutto avrebbe richiesto una trasformazione delle strutture più radicate della società. Non bastava un cambiamento economico e politico, non bastavano le riforme sul codice civile. Ci voleva un mutamento della mentalità. Mancava inoltre il sostegno da parte del potere politico. Seppur inizialmente la causa femminile abbia avuto il sostegno di Lenin, con la necessità di consolidamento del potere bolscevico emersero altre priorità. La nascente Unione Sovietica non aveva le possibilità di attuare materialmente tutte le riforme pensate da Aleksandra, quindi la lotta femminista e la questione della liberazione della donna rimasero temi secondari. Cambiare realmente la mentalità ed i rapporti sociali non è mai stata una possibilità reale.

Kollontaj cominciò a scontrarsi con il partito non solo sulla questione femminile, ma anche per la politica del partito bolscevico. Nel 1921 si dimise dalla carica di commissaria del popolo in segno di protesta alla firma del trattato di Brest-Litovsk. Nello stesso anno guidava con Aleksandr Šljapnikov l’Opposizione operaia, una frazione del partito che si opponeva alla Nuova politica economica (Nep), rivendicava il controllo dell’industria da parte dei sindacati, un maggiore controllo dei lavoratori del partito43. Aleksandra aveva un’immensa fiducia nelle capacità creatrici delle masse e una grande diffidenza nei confronti delle forme burocratiche44. Dopo aver partecipato al movimento di Opposizione operaia Aleksandra fu allontanata e si allontanò sempre più dal partito. Kollontaj cominciò a concentrarsi sulle questioni femminili, lasciando a distanza il partito ed il socialismo. Iniziò a scrivere testi e romanzi sulla questione della liberazione femminile, la sessualità e la nuova morale che avrebbe dovuto instaurarsi nella società sovietica.


5. Eredità


La questione della ricezione del pensiero di Aleksandra Kollontaj è un punto critico. Forse in quanto donna spesso è stata trattata in maniera diversa, sicuramente non sempre le sue riflessioni hanno avuto le considerazioni che meritavano e probabilmente è anche per questo che è uscita così modestamente dalle purghe di Stalin. Purtroppo la relazione tra femminismo e socialismo è spesso stata conflittuale, e l’Unione Sovietica non sfugge certo a questa difficoltà. A partire dal 1925 Kollontaj iniziò a lavorare come ambasciatrice per l’Unione Sovietica, e fu così che riuscì a raggiungere un nuovo obiettivo: fu la prima donna a ricoprire quel ruolo. Non smise mai di lottare per la causa femminista, e continuò a pubblicare romanzi e articoli nel corso degli anni.

Aleksandra è stata un personaggio importante per l’emancipazione femminile, non solo per le donne delle Repubbliche Sovietiche, ma anche per quelle degli stati europei occidentali. Le sue proposte di legge sono state riprese da questi ultimi con il sistema del Welfare State. Eppure oggi sembra che pochi conoscano il suo nome. Nonostante i traguardi raggiunti, «la speranza di Aleksandra Kollontaj di essere accolta nel novero di coloro che verranno recepiti e studiati dalle generazioni successive come “oggetti di un importante periodo storico”, come immagine e modello, finora non si è realmente verificata»45. Kollontaj e la sua opera hanno avuto un breve periodo di gloria all’inizio degli anni Settanta del Novecento, ma sono oggi quasi completamente cadute nell’oblio46. La causa è da ricercare nel “divorzio” tra femminismo e socialismo avvenuto in quegli anni. Nel corso degli anni Settanta c’è stato un momento di crescente disinteresse per le teorie socialiste. I femminismi prima erano spesso vicini a correnti di sinistra e lottavano attraverso l’economia politica con l’obiettivo di cambiare la società dalla radice47. Tuttavia «quando le energie utopiste iniziarono a declinare, il femminismo di seconda ondata fu inglobato nell’orbita della politica identitaria»48. È venuta a crearsi una collaborazione ambivalente tra i movimenti emancipatori degli anni Dettanta ed il paradigma neoliberale. Le femministe di questi anni, di fronte all’impossibilità di eliminare le strutture di dominio nel sistema economico, hanno abbandonato la lotta al capitale per concentrarsi sulla riflessione identitaria e sulla lotta per il riconoscimento49.

Aleksandra di conseguenza non è entrata nelle antologie femministe, o perlomeno solo in quelle più vicine alla sinistra. Rimane comunque una donna che ha cambiato radicalmente la condizione femminile in Unione sovietica e non solo. È importante quindi ricordare tutte le battaglie combattute, le sconfitte subite e le vittorie guadagnate. L’esperienza di Aleksandra ci dimostra che il cambiamento delle strutture materiali non basta per raggiungere l’uguaglianza, ci voleva anche una lotta più profonda e mirata alla distruzione delle strutture mentali che promuovono la discriminazione femminile.


Conclusioni


Il personaggio di Aleksandra Kollontaj è sicuramente uno dei più interessanti ed emozionanti della Rivoluzione russa. Nonostante spesso venga dimenticata, è stata una grande militante per l’instaurazione del potere socialista, un’ottima oratrice con la capacità di ammaliare le masse e una partigiana della lotta per l’emancipazione femminile. Aleksandra ha lottato instancabilmente anche contro i suoi stessi compagni per difendere le sue tesi e la sua ricerca della libertà politica e sessuale.

Il testo da noi analizzato, La famiglia e lo Stato comunista, ci mostra Aleksandra in gioventù, con ancora grandi speranze ed ottimismo. Già nell’autobiografia del 1926 Aleksandra ha perso quell’illusione giovanile ed il tono è molto più realistico e meno entusiastico. Nelle sue riflessioni il lavoro era fonte di emancipazione domestica, partecipazione alla vita politica e autorealizzazione personale. Se esso fosse stato accompagnato dalle adeguate politiche statali forse l’emancipazione femminile sarebbe stata raggiunta. La realtà pose subito Aleksandra di fronte alle difficoltà materiali e sociali delle sue iniziative. In effetti, troviamo un’Unione Sovietica che non ha le potenzialità materiali per soddisfare i bisogni delle nuove strutture statali pensate da Aleksandra. Nonostante dei cambiamenti radicali fossero stati introdotti, come ad esempio le leggi sul divorzio, il matrimonio, il supporto alla maternità, ecc., la mentalità ed i comportamenti paternalistici non sono scomparsi in Unione Sovietica né nella vita privata e tantomeno in quella pubblica. In realtà, seppur le donne in Unione Sovietica godessero di uno statuto paritario di tutto rispetto, se confrontato agli altri paesi in quel periodo, le donne sovietiche non hanno mai goduto della vera parità di trattamento. E questo dimostra che non basta cambiare le strutture economiche e sociali per avere un cambiamento di mentalità immediato. D’altra parte dimostra anche che vi erano altre priorità a cui far fronte secondo l’ordine del giorno del partito. Le questioni sociali non hanno mai beneficiato di priorità, soprattutto dopo l’instaurazione del potere staliniano e i piani quinquennali, quando addirittura si tornò alla criminalizzazione dell’aborto e all’indurimento dei compiti matrimoniali delle donne. La società sovietica forse, e soprattutto il Partito comunista, non erano pronti alle riflessioni radicali di Aleksandra.

Nonostante tutto, Aleksandra ha portato dei miglioramenti nelle condizioni di vita delle donne in Unione Sovietica, e potrebbe essere un personaggio di spunto per femministe di ogni epoca. Aleksandra, anche dopo l’allontanamento dalla Repubblica Sovietica, ha continuato ad interessarsi alla lotta per la libertà femminile, ampliando le sue riflessioni (che in questa piccola ricerca non sono state trattate) e fornendo un grande punto di partenza per le future femministe. Il suo nome è quasi sconosciuto alla nostra generazione; probabilmente perché non è diventata martire della rivoluzione come Rosa Luxemburg e anche perché al momento del successo di Aleksandra c’è stato un distacco e un rifiuto delle femministe dalle correnti marxiste-socialiste. Di conseguenza Kollontaj non ha avuto i riconoscimenti che merita, ma ci lascia comunque grandi insegnamenti.

È importante volgere uno sguardo al passato se l’idea è di costruire il futuro. Ancora siamo lontane dall’equità, non sono state eliminate le cause strutturali della discriminazione. «Il doppio sfruttamento della donna ad opera del capitale e del lavoro non è stato eliminato»50. Utilizziamo questi spunti di riflessione formulati da donne che hanno instancabilmente combattuto per la liberazione femminile. L’esperienza di Aleksandra dimostra che il cambiamento delle strutture materiali non basta per raggiungere l’uguaglianza. La storia a noi più vicina invece ci mostra quanto la lotta giocata solo sul riconoscimento non sia sufficiente. La soluzione sembra essere quella di unire le forze e lottare su più fronti per ottenere sia un cambiamento del sistema economico sia un radicale cambiamento di mentalità.


Martina Ricci*


[Tratto da: Martina Ricci Alexandra Kollontaï, in «Diacronie» [Online], N° 34, 2 | 2018, documento 12, online dal 29 juin 2018, consultato il 13 juillet 2023. URL: http://journals.openedition.org/diacronie/8609; DOI: https://doi.org/10.4000/diacronie.8609.

L’articolo è qui riprodotto con alcuni interventi della redazione di spaziocollettivo.org: l’articolo era scritto su base francese, così come in francese venivano date alcune citazioni, i nomi di opere di Aleksandra Kollontaj e le trascrizioni dei nomi; abbiamo quindi tradotto in italiano le parti in francese e abbiamo traslitterato i nomi russi nella traslitterazione fonetica internazionale; inoltre abbiamo tolto l’appellativo «Madame», tipico dei testi francesi, davanti al cognome della protagonista di questa storia].


Note

* Martina Ricci è attualmente [2018] studentessa del corso di Laurea Magistrale in Scienze Storiche presso l’Università di Bologna, con indirizzo storia contemporanea. Laureata in Relazioni Internazionali presso l’Università di Ginevra, s’interessa in particolare di teoria femminista e di storia delle donne. Ha conseguito una tesi sui femminismi turchi dal titolo: Femmes, État e société dans la Turquie contemporaine.

1 Raether, Gabriele, Kollontaj: libertà sessuale e libertà comunista, Pomezia, Erre emme, 1996, p. 11.

2 Cfr. Cavarero, Adriana, Restaino, Franco, Le filosofie femministe. Due secoli di battaglie teoriche e pratiche, Milano, Bruno Mondadori Editore, 2002, p. 127.

3 Cfr. ibidem.

4 Bailes, Kendall E., Imbert, Marie-José, Alexandra Kollontai et la Nouvelle Morale, in «Cahiers du monde russe et soviétique», 6, 4/1965, p. 476.

5 Cfr. ibidem, pp. 472-473.

6 Cfr. Porter, Cathy, Alexandra Kollontai: a biography, London, Virago, 1980, p. 17.

7 Kollontai, Alexandra, Autobiografia di una comunista sessualmente emancipata, Milano, Palazzi, 1973, p. 42.

8 Cfr. Bailes, Kendall E., Imbert, Marie-José, op. cit., pp. 471-472.

9 Stora-Sandror, Judith, Alexandra Kollontai: marxisme et révolution sexuelle, Paris, Maspero, 1973, p. 9.

10 Kollontai, Alexandra, op. cit., p. 42.

11 Cfr. Bailes, Kendall E., Imbert, Marie-José, op. cit., pp. 471-473.

12 Cavarero, Adriana, Restaino, Franco, op. cit., p. 127.

13 Ibidem, p. 15.

14 Ibidem, p. 17.

15 Kollontai, Alexandra, op. cit., p. 24.

16 Raether, Gabriele, op. cit., p. 35.

17 Ibidem.

18 Cfr. ibidem, pp. 40-41.

19 Cfr. Kollontai, Alexandra, op. cit., pp. 10-12.

20 Apparso per la prima volta in «Le Phare» (études et documentation socialistes), 8, 1° aprile 1920 e in «Bulletin communiste», 7, 29 aprile 1920. Il testo però data 1918 in quanto è stato presentato per la prima volta al Congresso panrusso degli operaie e delle contadine (16-21 novembre 1918).

21 Cfr. Kollontai, Alexandra, op. cit., pp. 31-32.

22 Cfr. Raether, Gabriele, op. cit., pp. 43-46.

23 Cfr. ibidem, p. 46.

24 Ibidem.

25 Kollontai, Alexandra, op. cit., p. 2.

26 Cfr. ibidem.

27 Cfr. ibidem, p. 3.

28 Cfr. ibidem.

29 Ibidem.

30 Ibidem.

31 Cfr. ibidem, p. 2.

32 Cfr. ibidem, pp. 3-4.

33 Cfr. Bailes, Kendall E., Imbert, Marie-José, op. cit., p. 476.

34 Raether, Gabriele, op. cit., p. 40.

35 Ibidem, p. 41.

36 Ibidem.

37 Bailes, Kendall E., Imbert, Marie-José, op. cit., p. 476.

38 Cfr. ibidem, p. 476.

39 Cavarero, Adriana, Restaino, Franco, op. cit., p. 19.

40 Raether, Gabriele, op. cit., pp. 104-105.

41 Ibidem, p. 105.

42 Kollontai, Alexandra, op. cit., p. 11.

43 Cfr. Bailes, Kendall E., Imbert, Marie-José, op. cit., p. 472.

44 Ibidem, p. 477.

45 Raether, Gabriele, op. cit., p. 7.

46 Cfr. ibidem.

47 Cfr. Fraser, Nancy, Oltre l’ambivalenza: la nuova sfida del femminismo, in «Scienza & Politica», XXVIII, 54, 2016, pp. 90-92.

48 Ibidem, p. 90.

49 Cfr. ibidem, pp. 92-96.

50 Raether, Gabriele, op. cit., p. 105.


Inserito il 13/07/2023.

Un articolo del 1913

Il Giorno della Donna

di Aleksandra Kollontaj

In questo articolo uscito sulla «Pravda» il 17 febbraio 1913 Aleksandra Michajlovna Kollontaj sottolineava la differenza – o forse meglio dire che innalzava un muro – tra il movimento femminista borghese (le “suffragette”) e il movimento delle operaie socialiste:

«Qual è lo scopo delle femministe? Ottenere nella società capitalista gli stessi vantaggi, lo stesso potere, gli stessi diritti che possiedono adesso i loro mariti, padri e fratelli.

Qual è l’obiettivo delle operaie socialiste? Abolire tutti i tipi di diritti che derivano dalla nascita o dalla ricchezza. Per la donna operaia è indifferente se il suo padrone è un uomo o una donna.

[…] Per le donne borghesi, i diritti politici sono un modo più comodo e più sicuro per raggiungere i propri obiettivi in questo mondo basato sullo sfruttamento dei lavoratori. Per le operaie i diritti politici sono un passo nel cammino aspro e difficile che conduce al desiderato regno del lavoro».

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Il Giorno della Donna


Cos’è il Giorno della Donna? È realmente necessario? Non è una concessione alle donne della classe borghese, ai movimenti femministi e alle suffragette? Non è dannoso all’unità del movimento operaio?


Di queste questioni si sente ancora discutere in Russia, sebbene all’estero non se ne parli più. La vita stessa ha già dato una risposta chiara ed eloquente. Il Giorno della Donna è un anello della catena lunga e compatta del movimento operaio delle donne. L’esercito organizzato delle donne lavoratrici cresce di giorno in giorno. Venti anni fa i sindacati operai contavano soltanto piccoli gruppi di donne sparpagliate qua e là tra la fila del partito dei lavoratori… Ora i sindacati inglesi contano più di 292.000 donne sindacaliste, in Germania ci sono circa 200.000 sindacaliste e 150.000 iscritte al partito dei lavoratori, in Austria 47.000 nel sindacato e 20.000 nel partito. Ovunque, in Italia, in Ungheria, in Danimarca, Svezia, Norvegia e Svizzera le donne della classe operaia si stanno organizzando fra loro. L’esercito delle socialiste conta quasi un milione di membri. Una forza poderosa! Una forza con cui i potenti del mondo devono fare i conti quando si pone sul tavolo il tema del costo della vita, dell’assicurazione della maternità, del lavoro infantile o della legislazione per proteggere il lavoro femminile.

Una volta i lavoratori uomini pensavano di dover caricare esclusivamente sulle proprie spalle il peso della lotta contro il capitale, di dover affrontare il “vecchio mondo” senza l’appoggio delle loro compagne. Tuttavia, appena le donne della classe operaia entrarono nelle fila di coloro che vendevano la propria forza lavoro in cambio di un salario, costrette a entrare nel mercato del lavoro per necessità, perché il padre o il marito erano disoccupati, gli operai iniziarono a rendersi conto che lasciare le donne senza una coscienza di classe voleva dire danneggiare la propria causa e farla arretrare. Maggiore il livello di coscienza nella lotta, maggiori le possibilità di successo. Che coscienza può possedere una donna seduta accanto al focolare, senza diritti nella società, nello stato e nella famiglia?

Nessuno, fa quel che le ordina il padre o il marito…

Il ritardo e la mancanza di diritti subiti dalle donne, la sua sottomissione e la sua indifferenza non sono di alcun beneficio alla classe operaia, anzi di fatto la danneggiano direttamente. Ma in che modo la donna entrerà nella lotta, come svegliarla?

La socialdemocrazia non ha trovato una soluzione immediata. Le organizzazioni operaie erano aperte alle donne, ma solo in poche lavoravano. Perché?

Perché la classe lavoratrice inizialmente non si era resa conto che la donna era l’elemento più socialmente e legalmente svantaggiato di quella classe, che più era stata colpita nel corso dei secoli, intimidita e perseguitata, che per stimolare il suo cuore e la sua mente aveva bisogno di un approccio speciale, di parole che lei, in quanto donna, potesse capire. I lavoratori non avevano compreso subito che in questo mondo di diritti negati e sfruttamento, la donna è oppressa non solo come lavoratrice, ma anche in quanto moglie e madre. Tuttavia, non appena i membri del partito socialista operaio si sono resi conto di ciò, hanno fatto loro la lotta per la difesa delle lavoratrici, come salariate, madri e mogli.

In ogni paese i socialisti cominciavano a domandare una protezione speciale per il lavoro femminile, un’assicurazione per le donne e i loro figli, diritti politici per le donne e la difesa dei loro interessi.

Più il partito operaio percepiva in maniera chiara la dicotomia donna/lavoratrice, più ansiosamente le donne si univano al partito, apprezzavano il ruolo del partito come vero difensore delle loro istanze,

comprendevano che la classe lavoratrice lotta anche per i bisogni urgenti ed esclusivi delle donne. Le stesse donne lavoratrici, organizzate e coscienti, hanno fatto tantissimo per spiegare questo obiettivo. Ora il peso del lavoro per attirare le lavoratrici nel movimento socialista sta nelle lavoratrici stesse. I partiti in ogni paese hanno i loro comitati, segretariati e bureau di donne. Questi comitati lavorano tra quella popolazione di donne politicamente ancora non cosciente, ne aumenta la coscienza e la organizza. Prendono anche in esame le questioni che riguardano direttamente le donne: la protezione per le donne incinte e con figli, la regolazione legislativa del lavoro femminile, la campagna contro la prostituzione e la mortalità infantile, la richiesta dei diritti politici per le donne, il miglioramento delle assegnazioni degli alloggi, la campagna contro l’aumento del costo della vita, ecc.

Così, come membri del partito le donne lavoratrici lottano per la causa comune di classe, mentre allo stesso tempo delineano e pongono in questione quelle necessità e istanze che le toccano direttamente in quanto donne, mogli e madri. Il partito appoggia queste istanze e si batte per loro. Le rivendicazioni delle lavoratrici sono parte della causa comune dei lavoratori! Nel Giorno della Donna, le dimostranti manifestano per i loro diritti!

Ma qualcuno dirà: perché separare la lotta delle donne? Perché esiste un Giorno della Donna, con speciali volantini per le lavoratrici, incontri e conferenze? Non è questa, in ultima analisi, una concessione alle femministe e alle suffragette borghesi?

Solo coloro che non comprendono la differenza radicale tra il movimento delle donne socialiste e le suffragette possono pensarla così.

Qual è lo scopo delle femministe?

Ottenere nella società capitalista gli stessi vantaggi, lo stesso potere, gli stessi diritti che possiedono adesso i loro mariti, padri e fratelli.

Qual è l’obiettivo delle operaie socialiste?

Abolire tutti i tipi di diritti che derivano dalla nascita o dalla ricchezza. Per la donna operaia è indifferente se il suo padrone è un uomo o una donna.

Le femministe borghesi domandano l’uguaglianza dei diritti sempre e in ogni luogo. Le lavoratrici rispondono: rivendichiamo gli stessi diritti per tutti i cittadini, uomini e donne, ma noi non siamo soltanto donne e lavoratrici, siamo anche madri. E come madri, come donne che un giorno avremo un figlio, chiediamo una speciale cura per noi stesse e per i nostri figli da parte del governo, una speciale protezione dallo stato e dalla società.

Le femministe si battono per conquistare i diritti politici. Anche qui i nostri cammini si separano: per le donne borghesi, i diritti politici sono un modo più comodo e più sicuro per raggiungere i propri obiettivi in questo mondo basato sullo sfruttamento dei lavoratori. Per le operaie i diritti politici sono un passo nel cammino aspro e difficile che conduce al desiderato regno del lavoro.

Le strade delle lavoratrici e delle suffragette si sono separate da tempo. C’è una enorme differenza tra i loro obiettivi. C’è anche un’enorme contraddizione tra gli interessi della lavoratrice e quelli della signora, della serva e della padrona. Non c’è e non può esserci alcun punto di contatto, convergenza o conciliazione. Perciò i lavoratori non devono temere che ci sia un giorno a parte per la donna, né speciali conferenze per le lavoratrici né una stampa particolare.

Ogni speciale, distinta forma di lavoro tra le donne della classe lavoratrice è semplicemente un modo per aumentare la coscienza delle lavoratrici e avvicinarle alle fila di quelli che combattono per un futuro migliore. Il Giorno della Donna e il lento, meticoloso lavoro condotto per elevare l’auto-coscienza della donna lavoratrice, stanno servendo la causa non della divisione, quanto dell’unione della classe operaia.

Lasciate che un sentimento allegro del servire la causa comune della classe operaia e di lottare simultaneamente per l’emancipazione femminile ispiri le lavoratrici a unirsi alle celebrazioni per il Giorno della Donna.


Aleksandra Kollontaj


(Tratto da: Aleksandra Kollontaj, Il giorno della donna, in Aleksandra M. Kollontaj, Amore e rivoluzione. Idee di una comunista sessualmente emancipata, Roma, Red Star Press, 2017, pp. 91-94).


Inserito il 31/08/2023.